giovedì 11 giugno 2009

Abitare il paesaggio.

Abitare il paesaggio. Urbano e territoriale. Fare esperienza dell’architettura. Esperienza dell’architetura. Da molto tempo questo testo di Ernesto Nathan Rogers fa parte della mia ristretta biblioteca per l’architettura. Talmente ristretta da essere l’unico testo consigliato di questo corso. Non mi ero mai fermato sul significato esteso del termine esperienza. Ecco allora emergere esperimento, sperimentazione, esame, test, ma anche esercizio, conoscenza, consapevolezza, saggezza. Questi termini assumono un’importanza concreta, diventano di per sé costruzione, se affiancati al fare. Si parte dall’esperienza fisica dell’abitare, dal misurare il proprio corpo e lo spazio che lo contiene. Ci si accosta poi ai luoghi, al luogo che ci riceve. Vuole dire anche avvicinarsi a qualcosa. Nell’avvicinamento troviamo la misura, la distanza. Ciò che sta tra. Un approccio inteso come primo contatto, come modo di procedere. Camminare. Ma se non conosco cosa mi aspetta allora il procedere non potrà che essere per gradi. Fare esperienza vuole dire operare, toccare l’architettura, sia essa rappresentata che fisica. Fare esperienza del paesaggio vuole dire abitarlo, indossarlo. Indossare il paesaggio, farlo proprio. Voglio dire che di per sé mettere un oggetto in relazione con il territorio vuole dire fare paesaggio. Vuole dire farne parte, prenderne parte. Credo che mettere un oggetto – qualsiasi oggetto – sia cosa difficile perché quest’oggetto è paesaggio, diventa paesaggio, indossa o viene indossato dal paesaggio. Abitudine come costume o tradizione. Abito. Abitare come ri-siedere. Ecco allora che il primo atto è sedersi e far sedere. Fare esperienza del paesaggio vuole dire sedersi nel paesaggio, fare esperienza dell’architettura vuole dire far sedere l’architettura. Fernando Tavora ci ha parlato di come un progetto o meglio un’architettura può sedersi nel sito, nel paesaggio, urbano e rustico – meglio rustico di territoriale. Sedersi come segno di appartenenza, come appropriazione di uno spazio, di un luogo. Come gesto archetipo. Ma sedersi e far sedere significa soprattutto misurarsi con le cose. Ecco perché è così importante. Avere un contatto fisico con i luoghi e con la materia dei luoghi. Appare così evidente l’importanza del fare esperienza. Accumulare, sedimentare, acquisire le informazioni che il nostro corpo è in grado di avvertire. Poter scegliere. “Uno le case può venderle o cederle, ma le conserva ugualmente per sempre dentro di sé” Credo che in questa bella frase di Natalia Ginzburg risieda il significato del fare esperienza dell’architettura, del paesaggio. Credo che i luoghi e in essi tutti gli elementi fisici che li compongono abbiano in sé quella cosa che alcuni chiamano anima. Riuscire a coglierla. Appropriarsi anche attraverso il disegno, c’è bisogno di un atto fisico per sentirsi parte di. C’è bisogno del tagliare, del piegare, tracciare. E’ per questo che il modello colpisce l’immaginario. Non c’è architettura senza corporeità. Ma fare esperienza significa anche incontrarne una propria. Conoscere e conoscersi. Incontrare quella familiarità con le cose e con i luoghi che abbiamo dentro. Entrare nelle cose, attraversarle, attraversare anche la propria esperienza. Fare in modo che l’immagine diventi disegno e il disegno esperienza. A volte mi viene voglia di entrarci nell’immagine, nel disegno. In questi disegni. E’ quando l’immagine si fa più pressante, corporea. Da poetica si fa immagine fisica e viceversa.
in ARCHITETTURA AMBIENTALE
ED. LIBRERIA CLUP, MILANO, 2006